SAN QUIRICO E SANTA GIULITTA

quirico e giulitta

Quirico e Giulitta sono, nella tradizione della Chiesa cattolica e di tutte le Chiese cristiane orientali, madre e figlio piccolo, morti martiri probabilmente nel 304. La loro festa liturgica viene celebrata solitamente il 16 giugno, in Occidente, e il 15 luglio in Oriente.

Degli atti del loro martirio si conoscono circa quaranta versioni, la maggior parte delle quali elencate nella Bibliotheca Hagiographica Latina. Questi testi presentano spesso episodi e circostanze che sembrano francamente fantasiose, al punto che già a metà del IV secolo emersero dubbi circa l’attendibilità completa di tutte le versioni. La prima seria indagine sui due santi fu intrapresa dal vescovo Teodoro di Iconio che, sollecitato dal vescovo Zosimo, sulla base di testimonianze dirette e di documenti, epurò la narrazione dagli elementi spuri, proponendo una Passio che sostanzialmente corrisponde a quella pubblicata da Van Hoof, sotto il titolo di Acta graeca sincera negli Analecta Bollandiana. Il lavoro di Teodoro è giunto sino a noi attraverso la sua Lettera a Zosimo.

Secondo questa versione, dunque, Giulitta era una vedova, di facoltosa famiglia e di elevato lignaggio. Essa viveva ad Iconio, città della Licaonia (oggi in Turchia) durante la persecuzione di Diocleziano nei confronti dei cristiani. Essendosi convertita al cristianesimo e temendo per sé e per il figlio, lasciò i suoi averi e la sua città, fuggendo con due ancelle e con il figlioletto Quirico di tre anni. Scoperta e catturata mentre raggiungeva Tarso, per ordine del governatore della Cilicia Alessandro, fu posta sotto tortura affinché accettasse, secondo la prassi, di sacrificare agli dei. Pur nei tormenti la donna rifiutò di rinnegare la sua fede. A presiedere il giudizio era lo stesso governatore Alessandro che teneva sulle ginocchia il piccolo Quirico. Le ripetute nerbate inflitte a Giulitta non facevano vacillare la sua fede, ma addirittura fecero sorprendentemente pronunciare al bambino: «Sono cristiano anch’io!». A queste parole il governatore scagliò il piccolo sui gradini del tribunale, facendogli battere la testa e uccidendolo sul colpo. La madre non si scompose, ma rimase in preghiera ringraziando il Signore perché il figlio l’aveva preceduta nella gloria dei Cieli. Il governatore Alessandro, pieno d’ira, la consegnò allora al boia perché fosse decapitata.

I loro corpi, recuperati da una delle due ancelle di Giulitta scampata alle persecuzioni, furono tenuti nascosti fino a che in epoca costantiniana il loro culto venne apertamente divulgato.
In numerose versioni della Passio si indica la città di Tarso come il luogo del martirio, anche se in altre è Antiochia.

Il culto dei santi Quirico e Giulitta è radicato e diffuso sia in Oriente che in Occidente. Ad introdurlo in Europa pare sia stato sant’Amatore, vescovo di Auxerre (morto nel 418), che avrebbe portato le loro reliquie da Antiochia a Marsiglia, nella chiesa di San Vittore, da lì poi traslate a Roma da papa Vigilio (537-555), che fece erigere una chiesa loro dedicata nella zona detta dei Pantani, l’attuale rione Monti.
Quirico e Giulitta vengono festeggiati dalla Chiesa cattolica il 16 giugno. Riguardo al giorno del martirio si confrontano due tradizioni distinte: quella occidentale che indica il 16 giugno e quella orientale che invece riferisce il 15 luglio. Quest’ultima pare decisamente la più probabile poiché è già indicata nella citata Lettera di Teodoro, mentre il 16 giugno compare per la prima volta nel 1493 nel Catalogus Sanctorum di Pietro de Natali. Per contro, anche in Occidente (Sardegna) la loro festa ricorre il 15 luglio.

SAN VALENTINO

Mostra

San Valentino, detto anche san Valentino da Terni o san Valentino da Interamna (Terni, 176 circa – Roma, 14 febbraio 273), è stato un vescovo romano, martire.

Venerato come santo dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e successivamente dalla Chiesa anglicana, è considerato patrono degli innamorati e protettore degli epilettici.

La più antica notizia di san Valentino è in Martyrologium Hieronymianum, un documento ufficiale della Chiesa dei secc. V-VI dove compare il suo nome e anniversario di morte. Ancora nel secolo VIII un altro documento, Passio Sancti Valentini, ci narra alcuni particolari del martirio: la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura a Terni ad opera dei discepoli Proculo, Efebo e Apollonio, il successivo martirio di questi e la loro sepoltura.
È tuttavia incerto se si tratti di un martire diverso dal presbitero che, secondo un’altra storia Acta SS Marii, Marthae et sociorum subì il martirio sotto Claudio il Gotico (quindi prima del 270, anno del decesso di questo imperatore), dato che questo fu sepolto a Roma, nelle catacombe al II miglio della via Flaminia che portano il suo nome. Con molta probabilità si tratta della stessa persona; alcuni storici ritengono che il presbitero Valentino di Roma non sia mai esistito.

Nato in una famiglia patrizia, fu convertito al cristianesimo e consacrato vescovo di Terni nel 197, a soli 21 anni.
Nell’anno 270 Valentino si trovava a Roma, giunto su invito dell’oratore greco e latino Cratone, per predicare il Vangelo e convertire i pagani.
Invitato dall’imperatore Claudio II il Gotico a sospendere la celebrazione religiosa e ad abiurare la propria fede, rifiutò di farlo, tentando anzi di convertire l’imperatore al cristianesimo. Claudio II lo graziò dall’esecuzione capitale affidandolo a una nobile famiglia.
Valentino venne arrestato una seconda volta sotto Aureliano, succeduto a Claudio II. L’impero proseguiva nelle sue persecuzioni contro i cristiani e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori città lungo la via Flaminia per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Fu decapitato il 14 febbraio 273, a 97 anni, per mano del soldato romano Furius Placidus, agli ordini dell’imperatore Aureliano.

È commemorato nel martirologio romano il 14 febbraio, giorno in cui veniva celebrata l’antica festa di santa Febronia.
Sono molte le leggende entrate a far parte della cultura popolare, su episodi riguardanti la vita di san Valentino:

  • Una di esse narra che Valentino, graziato ed “affidato” ad una nobile famiglia, compì il miracolo di ridare la vista alla figlia cieca del suo “carceriere”: Valentino, quando stava per essere decapitato, teneramente legato alla giovane, la salutò con un messaggio d’addio che si chiudeva con le parole: «[…] dal tuo Valentino…».
    Un’altra, di origine statunitense, narra come un giorno il vescovo, passeggiando, vide due giovani che stavano litigando ed andò loro incontro porgendo una rosa e invitandoli a tenerla unita nelle loro mani: i giovani si allontanarono riconciliati.

 

  • Un’altra versione di questa storia narra che il santo sia riuscito ad ispirare amore ai due giovani facendo volare intorno a loro numerose coppie di piccioni che si scambiavano dolci gesti d’affetto; da questo episodio si crede possa derivare anche la diffusione dell’espressione piccioncini.

 

  • Secondo un altro racconto, Valentino, già vescovo di Terni, unì in matrimonio la giovane cristiana Serapia e il centurione romano Sabino: l’unione era ostacolata dai genitori di lei ma, vinta la resistenza di questi, si scoprì che la giovane era gravemente malata. Il centurione chiamò Valentino al capezzale della giovane morente e gli chiese di non essere mai più separato dall’amata: il santo vescovo lo battezzò e quindi lo unì in matrimonio a Serapia, dopo di che morirono entrambi.

SAN SIGISMONDO

Mostra

Sigismondo (… – presso Orléans, 524) fu re dei Burgundi dal 516 al 523. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica. È stato il primo sovrano barbaro a diventare santo.

Era figlio del re dei Burgundi, Gundobado e della moglie, Caratena.
Mario di Avenches, nelle sue cronache cita Sigismondo, descrivendo la morte del padre, dicendo che gli successe (filius eius Sigismundus rex). Anche Gregorio di Tours lo cita come figlio e successore di Gundobado.
Tra il 494 ed il 496, nella continuazione della politica di alleanza con gli Ostrogoti, Sigismondo sposò una figlia di Teodorico il Grande, di cui Gregorio di Tours omette il nome; secondo Giordane era Ostrogota (ca. 480-520), una delle due figlie illegittime che Teodorico ebbe da una concubina quando era ancora in Mesia (l’altra, Teodogota, divenne la regina consorte dei Visigoti, sposando Alarico II)[2]. Probabilmente questo matrimonio portò ad un patto tra Ostrogoti e Burgundi, che, secondo lo storico Herwig Wolfram, fu stipulato nel 496.

Dal 501 fu co-reggente del regno assieme al padre, mostrando già le sue doti. A seguito dell’intervento di Alcimo Ecdicio Avito, vescovo di Vienne, abbandonò l’arianesimo e si convertì al cattolicesimo ortodosso, impegnandosi a diffonderlo anche tra i suoi sudditi. Si recò in pellegrinaggio a Roma, dove incontrò il papa Simmaco (498-514)
In politica, si appoggiò all’imperatore Anastasio I, che lo elevò a Patrizio. Nel 515, secondo Gregorio di Tours, fece costruire il monastero dedicato a San Maurizio ad Agaunum, sul luogo dove, secondo la tradizione, la legione Tebea era stata massacrata per ordine dell’imperatore, Massimiano, augusto insieme a Diocleziano.
Fu re dei Burgundi a partire dal 516, quando succedette a suo padre Gundobado. Portò avanti la politica di conversione dei Burgundi, dall’arianesimo all’ortodossia cristiana, senza riuscire a conquistare completamente la fiducia degli ortodossi Gallo-romani. Nel 517, ad Epaon (oggi Saint-Romain-d’Albon), tenne un Concilio, dove vennero adottate severe misure contro l’eresia ariana, suscitando qualche malcontento tra i Burgundi.
Nella Pasqua di quello stesso anno Sigismondo aveva pubblicato, dopo averlo portato a termine, il Liber Constitutionum, il codice che aveva iniziato suo padre Gundobado a partire dalla fine del V secolo.

Rimasto vedovo, Sigismondo si sposò in seconde nozze con una donna di cui non ci è pervenuto il nome.
Gregorio di Tours, nella sua Historia Francorum, tramanda la storia secondo cui nel 522 Sigismondo avrebbe fatto uccidere suo figlio Sigerico(avuto dalla prima moglie), accusato dalla matrigna di aver attentato al suo onore. Anche il vescovo Mario di Avenches, nelle sue cronache cita Sigerico (Segericus filius Sigimundi regis) col racconto della sua tragica morte avvenuta ingiustamente, per ordine del suo stesso padre.
Pentitosi immediatamente del gesto, Sigismondo si sarebbe ritirato nel monastero di San Maurizio ad Agaunum (oggi Saint-Maurice, nel Canton Vallese, in Svizzera).

L’aver ucciso il nipote di Teodorico gli fece perdere l’appoggio dei potenti alleati Ostrogoti: ne approfittarono i Franchi che da tempo volevano estendere i loro domini alla Borgogna. A partire dal 523, Sigismondo dovette fronteggiare una serie di incursioni armate da parte del re dei Franchi della valle della Loira, Clodomiro, che era spinto nell’impresa da sua madre, Clotilde, che secondo il vescovo Gregorio di Tours (536 – 597), era la figlia del re dei Burgundi, Chilperico II: Clodomiro catturò Sigismondo con la moglie e i figli e lo portò ad Orléans, dove venne tenuto prigioniero e, secondo Gregorio di Tours, fu decapitato e fatto gettare con i famigliari in un pozzo a Colombe.

Clodomiro però poi fu sconfitto e ucciso dal fratello di Sigismondo, Gondomaro, che gli era succeduto sul trono. Secondo Mario di Avenches, invece, furono i Burgundi a tradire e consegnare il loro re a Clodomiro.
Il resti di Sigismondo, poi, furono traslati nel monastero di San Maurizio ad Agaunum (oggi Saint-Maurice, nel Canton Vallese, in Svizzera).
L’aver portato i Burgundi a convertirsi al cattolicesimo fece sì che Sigismondo venisse acclamato Santo. La sua fine crudele portò la popolazione ad attribuirgli anche il titolo di martire. Nel 1365, l’imperatore Carlo IV andò a visitare il monastero di San-Maurice, fece riesumare il corpo del Santo, fece deporre una parte dei resti, tra cui la testa, in una cassa d’argento, che poi portò a Praga, dove la cassa venne deposta nella Cattedrale. San Sigismondo viene venerato a Praga ed è tra i santi patroni della Repubblica Ceca. La sua Memoria liturgica cade il 1º maggio.

Una parte dei resti del santo si trovano anche nella cattedrale di Frisinga, di cui san Sigismondo è patrono; a lui è dedicata la Basilica di Rivolta d’Adda.

 

(Le informazioni qui riportate appartengono al sito “https://it.wikipedia.org/”.)